Qualunque storia abbia come protagonisti dei cani mi fa piangere come un’indemoniata, non so cosa farci. Sarà che ho sempre avuto cani, che li ho sempre considerati come creature speciali, un po’ stupidoni magari, ma dall’animo puro e capaci di grandi cose. Sono considerazioni banali forse, un po’ mainstream, ma non lo dico per suonare popolare. Per tre volte ho avuto l’onore di constatare di persona che i cani sono davvero così, capaci di vivere ogni istante come se fosse una scoperta meravigliosa, di trasformare anche il dettaglio più banale in un gioco e di donare amore anche a chi lo merita ben poco.
Hanno una fiducia struggente nei confronti di chi pensano possa donare loro anche solo una carezza e del cibo. Non sono una di quelle persone che pensa che il cane dia amore disinteressato e altruista, perché sarebbe una visione del mondo un po’ troppo buonista. Il cane ha un sacco di interessi dietro a ogni azione (coccole, cibo, gioco o attività fisica), ma è comunque amore incondizionato, puro e travolgente, di quello che ricordi per tutta la vita. A volte mi viene da pensare che se sapessero parlare potrebbero essere degli opinionisti davvero interessanti e degli ottimi ascoltatori, ma rivaluto quasi sempre questa idea, convinta che sia proprio la loro assenza di parola a renderli così trasparenti, così diretti e diversi dagli esseri umani. Non possono mentire, dicono tutto quello che devono e vogliono dire solo tramite il linguaggio del corpo, lo sguardo, il modo in cui la coda guizza nell’aria, la posizione delle orecchie e il movimento della testa. Aggiungerei poi che se parlassero il discorso sarebbe più o meno questo “ciao, ciao, ciao! Che bello vederti, oggi ho scacciato un uccello, lo sai? È stato divertente, oh ma è un biscotto quello? Dammelo subito. Ora devo fare la cacca, mi tiri la palla?”.
Daniel Pennac, che si considera anche lui un grande amico dei cani, più che un loro scientifico conoscitore, ha saputo raccontare la potenza del loro animo, la semplicità del loro cuore e la mancanza di rispetto che spesso gli umani riservano loro, in un romanzo per ragazzi che è vera poesia. In Abbaiare Stanca l’autore ha trasportato il lettore in un universo popolato da cani e da gatti in lotta contro la crudeltà dell’uomo e alla costante ricerca di qualcuno di abbastanza degno da amarli.
Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.
Trama
La vita de Il Cane è sempre stata un po’ turbolenta. Nato da una cucciolata di cinque esemplari, è stato gettato via per la propria bruttezza, considerato inadatto a essere venduto. Solo dopo mille peripezie è riuscito a inseguire lo scopo ultimo di ogni cane: trovare un padroncino o una padroncina. Nella comodità della propria casa però, nonostante le cure amorevoli della bambina Mela, Il Cane sogna un passato triste e spaventoso. Sogna e piange, ricordando chi non c’è più, chi lo ha scacciato, imprigionato e disprezzato.
Recensione
Prima di Abbaiare Stanca non avevo mai letto nulla di Pennac, nonostante la sua fama internazionale e tutti i libri che ha sfornato. Sono contenta di aver iniziato proprio con un romanzo dedicato al mondo canino.
Scritto nel 1982, Abbaiare Stanca è un inno alla vita, alla diversità, alla comprensione del prossimo e al rispetto per ogni creatura. È un inno impostato su un linguaggio semplice, che mira a rappresentare nel modo più diretto possibile i pensieri di un animale, ma tutt’altro che banale. Pennac ci mostra con metafore quasi crude il dolore di un cane che è dovuto sopravvivere fin da cucciolo e che anche nella tranquillità si porta dietro gli strascichi di traumi e dolori passati.
Dare voce a un cane è un obiettivo molto delicato per qualunque autore, perché la mentalità e il linguaggio umano difficilmente possono dare giustizia a una creatura che possiede un modo di pensare e di parlare completamente diverso. Il rischio di apparire approssimativi e inadatti è sempre dietro l’angolo, ma pur sfruttando in modo molto approfondito uno stile innegabilmente umano, Pennac sa come muoversi per mostrare al lettore ciò che Il Cane ha nella testolina.
Il Cane affronta la propria infanzia tra gioie e dolori, nell’ambiente affascinante e variopinto di Nizza. La sensorialità sembra essere la protagonista del romanzo: il chiacchiericcio di abitanti e turisti, il caos di una città vibrante, il profumo dei ristoranti, dei fiori e dei negozi alimentari. C’è qualcosa di familiare in tutto ciò, ma il ricordo dei momenti felici in compagnia di Muso Nero, la mamma adottiva de Il Cane, vengono improvvisamente sostituiti da una sequenza traumatica di istanti tristi, e quella che è stata una creatura spontaneamente allegra, piena di vita e vogliosa di prendere parte a un mondo carico di fascino, si trasforma in un sopravvissuto, in un guerriero che deve scappare, schivare, mangiare. Anche tra le braccia di Mela, la nuova padroncina, il mondo e gli umani continuano a essere pericoli ed elementi di una crudeltà assurda.
Il sole tramontava. Sul ciclio dell’autostrada, all’improvviso,vide il corpo di un cane investito da un’auto. ≪Schivare≫ pensò Il Cane. ≪Schivare≫. E i singhiozzi gli salirono in gola. Scoppiavano come bolle di dolore nell’automobile silenziosa.
È difficile percepire il target di un romanzo del genere, complesso pur nella sua poetica semplicità. È etichettato come libro per ragazzi, ma la sua innegabile profondità lo rende adatto a ogni generazione, poiché il suo scopo educativo mira a essere raggiunto da tutti. È un rimprovero deciso, ma pacato, quello di Pennac, che mira effettivamente a far sentire in colpa il lettore mostrando con parole evocative il dolore del protagonista e il suo struggente piagnucolio nel sottolineare più volte l’assurdità di alcuni gesti umani.
≪Non ci sono che padroni, padroni che ci trovano troppo stupidi, troppo brutti, troppo ingombranti, troppo lenti ad annusare gli odori, che ci strangolano coi guinzagli, ci schiacciano coi frigoriferi e con le automobili e abbandonano i nostri cadaveri sui bordi delle autostrade, in fondo alle discariche municipali, soli, soli con le automobili che continuano a passare! Soli…≫
E così di seguito, un lungo, interminabile lamento, uno di quegli ululati che risalgono dalla più remota storia dei cani per esplodere, in una sera di tristezza, nella gola di qualsiasi infelice cane di oggi.
Non mancano momenti felici e di grande complicità, tra cani e altri animali, tra cani e umani, tra cani e altri cani. Oltre al velo di tristezza c’è anche forza, determinazione e amore, nonché l’evidente rispetto che Pennac prova per queste nobili e vivaci creature. Assieme a quel senso di pianto che si percepisce in gola, sono tanti i sorrisi che questo romanzo suscita e i frammenti di tenerezza in cui Il Cane si imbatte, qua e là tra Nizza e Parigi.
Abbaiare stanca è un libro che va letto col cuore, regalato e sentito in tutta la sua poetica severità. Non è un romanzo leggero da leggere per vivere un’avventura canina, ma qualcosa di profondo, commovente ed educativo.
Voto: 4 pescetti su 5
Consigliato a chi: ancora non ha imparato che gli animali hanno dei sentimenti (ma vuole farlo); ama i cani e li rispetta; vuole sapere come si ammaestrano i padroncini.
Sconsigliato a chi: non riesce a mettersi nei panni di qualcun altro; pensa che non ci sia niente di male nell’abbandonare un animale in autostrada (in tal caso qualunque libro stonerebbe tra le tue mani); è fermamente convinto che cani e gatti non formino una bella squadra.