Videogiochi

Gone Home: punta e clicca indie tra ansia e malinconia

Di videogiochi ce ne sono davvero tanti. Da anni sembra esserci una sorta di gara da parte delle case di produzione a chi dà vita al prodotto più coinvolgente, graficamente ineccepibile, mozzafiato e sconvolgente, attraverso grafiche pazzesche e un’immedesimazione sempre più estrema. Esistono però anche molti prodotti che in modo molto efficace sfruttano elementi ben più semplici per coinvolgere il giocatore. Se proprio vogliamo dare un’etichetta si potrebbero definire videogiochi Indie o a basso budget, ma l’apparente “ingenuità” che sta dietro alla creazione di questi titoli non deve far pensare a qualcosa di scadente o di noioso, anzi. Pur essendo principalmente un’amante di videogiochi più avvincenti e “mainstream”, ho avuto modo di provare qualche giochino indie e di apprezzarlo molto. Uno di questi è senza dubbio Gone Home.

Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.

Trama

La giovane Katie torna a casa dopo un viaggio in Europa durato un anno. Una volta arrivata sull’uscio un biglietto della sorella Sam le fa capire che c’è qualcosa che non va. A confermarlo è la casa vuota e in disordine e l’atmosfera angosciante che si respira in ogni stanza. Per scoprire dove sia finita la sorella, Katie dovrà essere guidata dal giocatore alla ricerca di indizi, biglietti e segreti che la condurranno all’interno dell’attico, chiuso a chiave e circondato da un’aura piuttosto inquietante.

Recensione

Gone Home, avventura grafica per PC del 2012 (pubblicata nuovamente nel 2016 per console) mi è stato nominato e consigliato da qualcuno che non gioca molto spesso, ma che ha una certa sensibilità narrativa, per questo mi sono presto convinta a volerlo provare. La trama, in tutta la sua semplicità, lascia spazio al giocatore di agire come meglio crede nella grande casa dove la protagonista è tornata dopo il suo viaggio.
Gli elementi sfruttati dagli sviluppatori della Fullbright Company sono davvero pochi, ma incredibilmente efficaci. È quasi la casa a essere protagonista di questo gioco, completamente vuota e immersa in un’atmosfera che dire tesa è davvero poco. All’esterno infuria una brutta tempesta e porte e finestre sembrano scricchiolare a ogni passo. Ma è il vento quello che si sente in alcune stanze o c’è qualcuno in casa assieme a voi?
Guidati da indizi e segreti trovati qua e là nell’enorme dimora, nei panni di Katie dovrete esaminare area dopo area, accedendo ai ricordi di Samantha e sentendo quello che lei ha da dire su tutti i cambiamenti avvenuti nella sua vita da quando siete partiti. Le confidenze si alternano ai suoni della tv accesa nel salotto, al ritmo dei nastri che di tanto in tanto troverete nelle stanze o nei corridoi, ai documenti privati della famiglia e a vecchi biglietti che Sam scambiava con gli amici, in un’atmosfera che passa velocemente dalla tensione alla profonda malinconia.
Nonostante la storia si svolga grazie alle indagini di Katie, l’interazione da parte del giocatore è davvero ridotta al minimo, ma la brevità del gioco e la capacità della trama di tenere incollato l’utente allo schermo per lo svelamento della verità fanno sì che non ci siano istanti di noia, semmai solo un filo di frustrazione davanti alle porte chiuse a chiave.

Lo scopo di Gone Home e le sue modalità lo rendono molto simile a un Escape Game, a uno di quei punta e clicca in cui l’obiettivo è fuggire da una stanza chiusa, ma è il sottofondo emotivo a dettare il tono complessivo e a stabilire il coinvolgimento del giocatore, più che l’indagine stessa.
Le mille domande che si fanno strada nella testa di Katie – e di conseguenza nella vostra – aumentano il senso di ansia e di fretta nello scoprire cosa è successo in quella casa. La gran parte delle stanze è in disordine, molti oggetti sono spariti, ci sono scatoloni che fanno pensare a un trasloco e non solo è assente Sam, ma anche i genitori delle due sorelle e non si capisce dove si siano cacciati.
Confesso di aver avuto paura la prima volta che ho giocato a Gone Home. Seduta sul divano assieme a un’amica, a notte fonda, avrei voluto mostrare un po’ più di coraggio. Al contrario ho squittito più di una volta nell’addentrarmi nelle zone più buie della casa e nell’udire i tuoni. Mi spostavo con lentezza, guardandomi attorno con aria circospetta e con una cautela davvero estenuante, che non ha fatto altro che rallentare il tutto. Ma forse è così che questo titolo deve andare. La tensione si respira istante dopo istante, sebbene il gioco non sia etichettato come horror.

Un altro elemento molto presente è la sensazione di tristezza e nostalgia alimentata in parte dai costanti riferimenti agli anni ‘90. Siamo nel 1995, i cellulari ancora non fanno parte del quotidiano degli adolescenti (ed è per questo che non possiamo contattare mamma e papà su Whatsapp per chiedere che fine abbiano fatto e dove si sia imbucata quella burlona di Sam), soppiantati da videogame arcade, dalla musica in cassetta e dai poster dei “vecchi” divi. Si allude a un’adolescenza fatta di questi grandi miti, in un tempo che è ormai trascorso ma che riesce ad affascinare i giocatori più grandi che hanno vissuto in quegli anni. Passare in rassegna eventi, confessioni e segreti che riguardano Samantha ci fa provare nostalgia per un passato sereno scosso inevitabilmente dai primi turbamenti dell’adolescenza e della vita adulta, nonché forte preoccupazione per ciò che questi problemi potrebbero aver scatenato. I biglietti di Sam alludono varie volte al fatto che il risultato di questi tormenti del cuore potrebbero nascondersi nell’attico, chiuso a chiave e circondato da inquietanti lucine rosse. Inutile tentare di tenersi alla larga da quel luogo perché sarà proprio la tappa finale della nostra partita.

Insomma, Gone Home è un gioco che sfrutta in modo magistrale l’ansia e la preoccupazione e lo fa per raccontare una storia fortemente emotiva, che solletica l’empatia del giocatore e lo immerge in un’atmosfera sia inquietante che familiare. Il risultato finale non può che suscitare sorpresa, ma è il viaggio che ci conduce all’attico e non tanto la nostra destinazione finale a rappresentare il fulcro di questa nostalgica, malinconica e appassionante storia.

Voto: 4 pescetti su 5

Consigliato a chi: è un nostalgico degli anni ‘90; cerca il coinvolgimento emotivo in un gioco breve; ama frugare nei cassetti altrui; cerca un’atmosfera inquietante ma intima.

Sconsigliato a chi: non vuole scoprire cosa c’è nell’attico; ha paura a stare a casa da solo anche in condizioni normali; preferisce i classici sparatutto adrenalinici; non sa nemmeno cosa sia un mangianastri.

An Otter Point of View

Appallottolata su se stessa, la lontra scruta il mondo con occhietti curiosi, offrendo il proprio giudizio personale (spesso non richiesto).
Batuffolo nevrotico, trova se stessa tra le pagine di un libro o di fronte a una buona serie tv. Inguaribile giocherellona (soprattutto con un controller), fangirl sfegatata di troppe cose e shipper compulsiva.

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