Prima di partire in quarta con la recensione de L’altra Grace ci tengo a fare una premessa storica (mia nonna lo diceva di tentare la strada dell’insegnamento, ma io non le ho mai dato retta).
Il 1851 è un anno particolare per l’Occidente. Non per lo scoppio di una guerra o per qualche importante scoperta in campo scientifico, ma per il graduale diffondersi (iniziato decenni prima) di una tendenza destinata a raccogliere un seguito enorme e ad arrivare quasi intatta fino ai giorni nostri.
Da dolori e lutti nasce lo Spiritismo, alimentato dalla necessità ossessiva e forse un po’ morbosa, ma del tutto comprensibile, di poter stabilire un contatto con i cari defunti, abbattendo la barriera tra il mondo dei vivi e l’Aldilà.
Se con un sorrisino state pensando a gente seduta attorno a un tavolo, a lume di candela, con le mani unite e intenti a dire “sei ci sei batti un colpooo”, ci avete preso. Proprio di questo sto parlando.Lo Spiritismo, così come si è originato, si basa su teorie risalenti alla fine del secolo precedente, formulate dal medico tedesco Franz Anton Mesmer.
Mesmer era ideatore e sostenitore del magnetismo animale, teoria secondo la quale tutti gli esseri viventi possiedono un fluido universale, che si blocca e si scombina in caso di malattia. La forza vitale, insomma.
Lo Spiritismo raccoglie questa convinzione e sviluppa a sua volta la tesi secondo la quale anche dopo la morte l’energia può essere percepita da chi è in grado di ascoltare, tramite trance o sedute spiritiche (di Spiritismo e Mesmerismo è incentrata la puntata 1×06 della serie tv Lore, molto consigliata, di cui parlerò in una prossima recensione).
Il movimento, anno dopo anno, riunisce sotto la sua etichetta un numero sempre maggiore di accoliti e appassionati, convinti di poter davvero parlare con i morti, ma probabilmente influenzati anche dalla diffusione della coeva letteratura gotica, che fa della morte, del mistero e della parte più oscura dell’essere umano il proprio marchio di fabbrica.
Il 1851 è anche l’anno in cui un piccolo paesino canadese, Richmond Hill, viene scosso da una tragedia che sconvolge l’opinione pubblica, spaccandola in due.
Una giovane serva originaria dell’Ulster, in Irlanda, viene accusata di aver ucciso il datore di lavoro Thomas Kinnear e la sua governante Nancy Montgomery, con la complicità dello stalliere James McDermott, da tutti considerato il suo amante.
Fin da subito il destino della ragazza sembra essere costantemente conteso tra chi la crede troppo bella e dolce per essere colpevole e chi vede in lei una sorta di demone dalle fattezze angeliche, ma nessuno rimane indifferente alla vicenda, tanto macabra quanto affascinante. Gli scritti di molti autori recano infatti le tracce del passaggio di Grace Marks e dei suoi presunti crimini.
A dare vita a una rielaborazione moderna della sua storia è Margaret Atwood con il romanzo del 1996 L’altra Grace (Alias Grace). Al 2017 risale invece la trasposizione televisiva targata Netflix, che sembra seguire a ruota il successo di The Handmaid’s Tale, anch’esso tratto da un romanzo della Atwood.
Leggendo le pagine di questa autrice e guardando le serie tv che da esse sono state tratte viene spontaneo notare una tematica di fondo: la presenza costante e ossessiva del potere maschile, nel passato de L’altra Grace così come nella società futura dipinta da Il Racconto dell’Ancella, e di figure femminili che pur oppresse tentano di districarsi da questa viscosa realtà maschilista.
Grace Marks, figura storica di umili origini, non è da meno, circondata da uomini che da lei sembrano volere sempre qualcosa e da cui sembra sopraffatta. Ho detto bene: sembra.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che Grace venga costantemente strumentalizzata, ma ciò che non è chiaro, dall’inizio del libro fino alla lettura delle ultime righe, è se lei sia vittima o carnefice, donna manovrata o astuta manipolatrice. Su questa incertezza si costruisce l’intero romanzo, facendo dell’ambiguità della protagonista il proprio punto di forza. Qui di seguito la mia recensione de L’altra Grace.
Recensione L’altra Grace: una storia di morte, indagine e manipolazione
Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.
Trama
In seguito ai delitti di cui è stata accusata Grace Marks viene sottoposta a processo, durante il quale fornisce una serie di testimonianze e confessioni contrastanti, e poi condannata a morte. L’impiccagione viene attuata solo su James McDermott e rimandata per la ragazza, che viene dapprima messa in manicomio per i suoi strani comportamenti e poi nel penitenziario di Kingston.
Una seconda chance arriva proprio grazie al fenomeno dello Spiritismo e dalle discipline affini di cui parlavo poco fa. La moglie del direttore e le sue amiche, affascinate dall’occultismo, dalle sedute spiritiche e dalla cronaca nera, accolgono Grace in casa come domestica, cogliendo l’occasione della sua vicinanza per studiarla con curiosità. Considerato il fatto che la padrona di casa possiede addirittura un album pieno di ritagli di giornale con articoli di omicidi e condanne a morte (robe che le figurine Panini dei calciatori sono nulla in confronto) la ragazza è vista come una vera e propria VIP, un fenomeno da baraccone da osservare con affascinato timore.
Su Grace però non è stata ancora fatta chiarezza e i suoi comportamenti bizzarri, a un tratto consapevoli e a un tratto del tutto inconsci, attirano l’interesse del Dott. Jordan, una sorta di psicologo alle prime armi, interessato al caso Marks e desideroso di scrivere una relazione sull’imputata.
Ha così inizio, guidato dalla scrittura fluida e incredibilmente evocativa della Atwood, un viaggio nella mente di Grace, nel suo passato e nel suo presente, attraverso dolori, difficoltà, momenti di gioia, delusioni e tragedie, un viaggio destinato a portare alla conoscenza della protagonista, ma mai allo svelamento della verità.
Recensione L’altra Grace
L’ambiguità di tutto il romanzo risiede proprio in Grace, bellissima, tranquilla, apparentemente servile e di difficile comprensione anche nel racconto del proprio passato. Appare subito come un personaggio fondamentalmente buono, ma senza grandi ideali. È pragmatica, disillusa, ma incapace di perdere del tutto la propria ingenuità. Per questo mantiene una sorta di sottile purezza che rende difficile, da parte del lettore o dei personaggi che hanno a che fare con lei, condannarla senza alcuna ombra di dubbio.
Al tempo stesso è capace di pensieri inquietanti, di comportamenti controversi e di moti di ribellione quasi rabbiosi contro chi è intenzionato ad approfittarsi del suo stato. Tutto questo la rende un personaggio complesso e insondabile, mai uguale a se stesso e incredibilmente affascinante per tutti.
Devo confessare che mi veniva un’idea satanica, quando facevo sedere i più piccoli in fila sul molo, con le gambette nude penzoloni. Pensavo: Potrei spingerne giù uno o due, così ce ne sarebbero meno da sfamare, e meno vestiti da lavare. Perché ormai ero io che mi occupavo di quasi tutto il bucato. Ma era solo un’idea, ed era il diavolo che me la metteva in testa, di sicuro.
Fin da giovane, Grace sembra sottostare al potere di altre persone, soprattutto uomini, e lotta per liberarsi da questa oppressione, dapprima allontanandosi dal padre violento e alcolista per cominciare a lavorare presso una famiglia canadese, i Parkinson, dove fa amicizia con la spigliata domestica Mary Whitney e poi svolgendo le stesse mansioni presso la tenuta di Thomas Kinnear a Richmond Hill. Tra lei e la governante dell’uomo, Nancy Montgomery, i rapporti si incrinano presto ed è proprio l’attrito tra loro e tra lo stalliere James McDermott e i datori di lavoro, a portare ai delitti. Divisa tra le accuse di colpevolezza e le convinzioni di innocenza da parte dei suoi sostenitori, la giovane si trova lei stessa sballottata da una personalità all’altra, adeguandosi suo malgrado a tutto ciò che gli altri vogliono fare di lei e arrendendosi a ciò che il destino le ha riservato.
Comunque, assassina è una parola pesante da portarsi dietro. Ha un odore, quella parola, un odore muschiato e opprimente, come di fiori morti in vaso. Qualche volta, di notte, me lo ripeto a bassa voce: Assassina, assassina. Fruscia, come una gonna di taffetà sul pavimento.
La moglie del Direttore vuole che Grace appaia come una figura misteriosa e inquietante, e lei si lascia studiare docile come un animale dietro le sbarre; l’avvocato che l’ha difesa fino in fondo vedeva in lei una fanciulla colpevole, ma troppo bella per non essere difesa e lei gli ha lasciato credere di essere attratta da lui; il Dottor Jordan sbircia nella sua mente, lasciandosi affascinare da ciò che trova, fino a provare eccitazione per quell’aura di morte che aleggia attorno alla ragazza. Tutti quelli che si avvicinano a Grace vogliono qualcosa da lei e tutti quelli che le puntano il dito contro sono colpevoli addirittura più di Grace stessa.
La cosa interessante del ritratto dipinto da Margaret Atwood e che tengo a sottolineare in questa recensione de L’Altra Grace è proprio questo: il romanzo non è solo un’indagine profonda della protagonista, vittima delle circostanze o forse abile approfittatrice, ma anche delle figure che le ronzano intorno, che inizialmente si pongono come personaggi positivi, sicuramente innocenti se paragonati all’imputata. Ma conoscendo le loro manie, le loro ossessioni e i loro peccati, è davvero impossibile scagionarli da una pesante condanna morale.
I medici del manicomio e le guardie del penitenziario abusano di Grace fisicamente e mentalmente, Jordan fruga nella sua anima alla ricerca di risposte, trovando solo altra ambiguità e cominciando a considerare la ragazza come una fragile creatura bisognosa di cure e protezione…sua.
Tutti, compreso McDermott e Jamie il garzone, la vogliono per sé, e Grace offre a tutti un pezzo di sé per sopravvivere in un mondo di uomini e potenti all’interno del quale solo mentire porta alla salvezza.
Ma Grace è innocente o colpevole? Non sarò io a svelarlo in questa recensione de L’altra Grace, poiché dopo un secolo e mezzo nessuno lo ha ancora scoperto…
Nella trasposizione Netflix è il bel faccino angelico di Sarah Gadon a dare un volto a Grace Marks. Non molto conosciuta, o almeno non per grandi prodotti televisivi o cinematografici, credo che la Gadon abbia fatto un lavoro eccellente nel presentare l’ambiguità di Grace. I suoi occhi riescono a mostrarsi limpidi e innocenti in un momento e colmi di odio e colpevolezza in un altro. È in grado di passare dalla sofferenza all’insensibilità in pochi istanti e questa sua buona interpretazione ha fatto in modo che fin da subito lo spettatore abbia simpatizzato con lei senza essere comunque del tutto sicuri del suo buon cuore.
Un’altra grande interprete è Anna Paquin, che qui ho trovato particolarmente irritante. Il ruolo della governante dall’umore volubile e dagli atteggiamenti arroganti le calza davvero a pennello.
Nonostante nell’insieme la serie tv somigli a un classico film romantico pomeridiano di Canale 5 ambientato in Irlanda o in Nuova Zelanda (Rosamund Pilcher docet), quella che sembra erroneamente una regia di serie B si evolve subito in qualcosa di ben costruito, molto valido e affascinante, merito dei paesaggi meravigliosi, degli attori, dei dettagli accurati, delle atmosfere che spaziano dal rilassante all’inquietante e del lavoro della produttrice Sarah Polley e della regista Marry Holland (potere alle donne, yay!).
Leggendo il libro e vedendo la serie tv de L’altra Grace a breve distanza l’uno dall’altra, posso dire che Netflix ci ha regalato un prodotto davvero fedele e ben fatto.
Voto L’altra Grace
4 pescetti su 5
Consigliato a chi:
apprezza un buon romanzo storico introspettivo; non teme un po’ di ambiguità; ama guardare la realtà da vari punti di vista;
Sconsigliato a chi:
odia le questioni irrisolte; non sopporta i riferimenti all’occulto; vuole la verità a tutti i costi.