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La forza del destino: il sottile confine tra burattinaio e burattino in Black Mirror – Bandersnatch

Ci sono poche cose di cui sono assolutamente certa, al cento per cento, nessun dubbio. Solitamente riguardano le questioni più importanti della vita, come i propri ideali, l’amore o la casa di appartenenza di Hogwarts (che è Tassorosso, per coloro che se lo stessero domandando). Non chiedetemi però di decidere cosa cucinare per cena, quale film scegliere su Netflix o con quale libro iniziare la nuova TBR, o rischiate di vedermi imbambolata in un silenzio riflessivo e piuttosto frustrante.

È dunque piuttosto paradossale che mi piacciano molto i libri game e i videogiochi che si basano su un sistema di scelte e di risposte multiple. Invece è proprio così. I libri game sono sempre stati un mio guilty pleasure: fin da quando ero alle medie in biblioteca prendevo in prestito quei libriccini di Lupo Solitario e mi isolavo in camera mia con un paio di dadi pronti al lancio e foglietti sparsi dove annotavo punti vita, abilità ed equipaggiamento. La mia avventura iniziava e morivo circa 320 volte, ma non demordevo mai e mi divertivo sempre un mondo.
Alla moda degli anni ‘80 dei libri game si ispira proprio la nuova puntata interattiva di Black Mirror, la serie fantascientifica britannica distribuita da Channel 4 e disponibile su Netflix che conquista il suo pubblico già dal 2011 e che (dopo qualche dubbio causatomi dal fatto che ogni puntata è una vera presa a male) ha stregato anche me. L’episodio interattivo, intitolato Black Mirror – Bandersnatch, ha proprio il compito di coinvolgere lo spettatore nella scelta della via da far prendere al protagonista, alla quale corrispondono ovviamente delle conseguenze.
Potevo non buttarmici a pesce? Ovviamente no.

Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.

Trama

Stefan Butler è un ragazzo problematico impegnato nello sviluppo di un videogioco ispirato a un libro “scegli la tua avventura”, Bandersnatch, un romanzo interattivo che permette al lettore di compiere delle scelte per proseguire la storia. Il gioco viene accettato dall’azienda videoludica Tuckersoft e Stefan si impegna a portare a termine la programmazione di Bandersnatch entro il termine stabilito. Impegnato in questa impresa titanica e stressato dalle ore passate al computer, Stefan comincia a rendersi conto che c’è qualcosa che non va nella sua vita. Le scelte che fa, le decisioni che prende e i piccoli gesti che compie sembrano essere controllati da qualcuno che non è lui, che gli dice cosa fare e che lo porterà sempre di più a dubitare di tutto ciò che lo circonda.

Recensione

A determinare subito il tono della puntata è la prima data che appare sullo schermo durante il risveglio di Stefan: 1984. Capiamo immediatamente che ci troviamo in una storia che parla di controllo e di complotto, in allusione all’omonimo romanzo di Orwell. Nonostante un’ambientazione apparentemente normale, tipica di ogni ragazzo un po’ nerd e chiuso in se stesso, la serie comincia già a farci notare che c’è qualcosa di strano nella situazione a cui stiamo per assistere. Da Black Mirror non mi aspetto certamente che ambientare la puntata nel 1984 sia un caso e anche la presentazione del protagonista è piuttosto emblematica. Questo giovane geniale, appassionato di fantascienza e videogiochi (e interpretato dal bravissimo Fionn Whitehead già visto in Dunkirk), sta lavorando proprio a un titolo che permetterà al giocatore di compiere delle scelte per proseguire nella missione. Si torna dunque a parlare di controllo e grazie all’espediente del videogame lo si farà per tutta la puntata.
Questo episodio interattivo di Black Mirror, intitolato Bandersnatch è il ritorno in grande stile di questa serie che si è imposta sulla scena telefilmica con episodi spiazzanti e finali angoscianti, portando avanti un esempio meraviglioso e scioccante di narrazione fantascientifica e distopica. Dopo una quarta stagione decisamente traballante e poco avvincente Bandersnatch mi ha ridato la speranza che Black Mirror avesse ancora molto da dire al suo pubblico e mezzi a disposizione per mandare in tilt i cervelli degli spettatori.

Ciò che mi ha incuriosito però è come la puntata si presenta e l’impatto che lo svolgimento della storia ha su chi interagisce con essa. A una prima visione non si può fare a meno di notare alcuni difetti di costruzione, una certa banalità nella trama e una macchinosità di fondo che rende difficile poter davvero compiere delle scelte in modo spontaneo. La puntata segnala spesso problemi nelle decisioni prese e ci costringe a tornare sui nostri passi più e più volte, per prendere finalmente la scelta giusta. In certi momenti ci troviamo addirittura a dover scegliere due strade quasi uguali, entrambe illogiche oppure che portano entrambe a un esito apparentemente simile senza che ci rendiamo conto del perché di tutto questo. Sembra infatti che ci sia qualcosa di sbagliato nella scrittura della puntata e nella realizzazione delle risposte da dare.
Se siamo noi a dover interagire con la vicenda di Stefan, perché ci sentiamo così vincolati da ciò che l’episodio stesso vuole? Da questo sono nate diverse scuole di pensiero e gli spettatori si sono divisi tra coloro che, entusiasti e ammirati, hanno affermato che Bandersnatch è geniale, un tentativo eccezionale che determina un nuovo modo di concepire il divertimento e l’intrattenimento dello spettatore. Altri hanno invece percepito un funzionamento sbagliato di questo sistema e una modalità di “gioco” assolutamente non degna del grande Black Mirror.

Per quanto io abbia apprezzato la puntata, confesso di aver pensato un po’ la stessa cosa, rimanendo scossa e affascinata dall’esito da me raggiunto, ma anche leggermente delusa dal fatto di non aver davvero plasmato da sola la storia di Stefan. Pensando poi che Black Mirror – Bandersnatch è stato praticamente l’evento televisivo (o sarebbe più corretto dire “evento streaming”?) di queste ultime settimane, forse mi aspettavo qualcosina di più.
Mi sono poi intestardita su questo dettaglio e ho voluto ritentare la visione. Alla seconda replica è seguita la terza e poi la quarta (sì, sono impazzita e ora ho il cervello che mi cola dalle orecchie) e solo allora mi sono davvero resa conto che avevo solo raschiato la punta dell’Iceberg. Di scelte in sé non ce ne sono tantissime, ma è il significato dei diversi percorsi e di ciò che l’esperienza comunica che mi ha stupita e convinta della genialità di quest’opera.
In poche parole, la visione di Black Mirror – Bandersnatch è inutile se fatta un’unica volta. Lo scopo della puntata è (se ho ben capito) fare in modo che Stefan termini il suo lavoro e riceva un’ottima recensione. Quello che io ho invece tentato di fare è preservare la sua sanità mentale, fare in modo che si comportasse bene e che mantenesse rapporti pacifici con tutti nonostante gli impulsi a fare tutto il contrario…impulsi venuti da dove, se siamo noi a controllare Stefan?

Ecco dunque che man mano le scelte si fanno meno chiare e più assurde, quasi incoerenti, noi ci rendiamo sempre più conto che il libero arbitrio non è una condizione così scontata e che quello che noi ritenevamo essere un modo per imporre le nostre scelte altro non è che la dimostrazione che il controllo non è affatto nelle nostre mani.
Questo particolare dona spessore a una trama che di per sé non sembra particolarmente elaborata e fa sì che Bandersnatch sia un’esperienza da vivere a 360°, contenente un messaggio simbolico da cogliere. Senza un approfondimento non si capirebbe la forza di questo episodio e si potrebbe pensare che non sia poi così in grado di intrattenere come aveva promesso. Solo andando oltre la prima visione è possibile appassionarsi, entrare in una sorta di trip, provare quasi ossessione per la ricerca della scelta giusta e sviluppare una sorta di estasi intellettuale nel fare tutto ciò.
Se non è intrattenimento e interattività questo…
Consiglio a tutti coloro che hanno guardato Bandersnatch come un semplice episodio di una serie tv di non fermarsi alla prima impressione e di tentare e ritentare. È un gioco, inquietante e intricato, ma pur sempre un gioco. Giocate!

ATTENZIONE! D’ORA IN POI FACCIO SPOILER COME SE PIOVESSE

 

Il primo modo per capire Bandersnatch è riconoscere che la sua natura non è esattamente quella pubblicizzata. Viene considerato un episodio interattivo, simile a qualunque videogioco con scelte multiple o ai libri game, ma la realtà è che ci troviamo di fronte a un esemplare unico nel suo genere. Ci rendiamo presto conto che mentre ci aspettiamo che le nostre scelte vengano portate avanti da Stefan senza alcuna resistenza, in realtà il protagonista della vicenda comincia quasi da subito a capire che c’è un’entità alla base delle cose che fa. Una volta compreso questo, inizierà anche a ribellarsi.
Capisce che la decisione di programmare da solo il proprio gioco (che è la scelta giusta da prendere per scatenare il suo estro creativo) è una cosa che avrebbe voluto, ma che non sarebbe mai stato in grado di esprimere ad alta voce. Alla propria psicologa (da cui Stefan va da anni per superare i problemi mentali scatenati dalla morte della madre quando lui era piccolo) dice di sentirsi monitorato e non del tutto in controllo delle proprie scelte e gli episodi in cui il ragazzo si sente così si moltiplicano durante lo svolgimento della puntata.
Questo permette all’episodio di regalarci una dolce illusione, quella di essere noi in controllo di tutto. Spingiamo Stefan a fare alcune cose (anche con un certo godimento, direi), gli facciamo scegliere cosa mangiare a colazione, quale musica ascoltare, se seguire o no qualcuno, se parlare di alcune cose e persino se distruggere il computer con cui sta lavorando oppure strillare al povero papà che è preoccupato per lui. Bandersnatch ci manipola portandoci a pensare che tutto dipende da noi, perché anche fare errori ci permette di assumere nuove conoscenze, ma poi ci fa tornare indietro e ci manda direttamente dove vuole farci arrivare. A volte in quel punto ci arriviamo spontaneamente senza aver raccolto indizi in più, in altri casi la strada per giungere fino a lì si allunga e scopriamo per esempio che la madre è morta durante un incidente ferroviario perché la nostra ricerca testarda del coniglietto peluche l’ha fatta tardare e prendere il treno successivo, oppure che Colin (il programmatore geniale da Stefan molto stimato e interpretato da Will Poulter) crede nella teoria del complotto e ritiene che non esista un vero e proprio libero arbitrio. È uno spirito a controllare le scelte delle persone e il governo mette tutti sotto stretta sorveglianza. Sì, insomma, ci sembra un tipo folle, fatto come una pigna e un pochino paranoico, ma ci fornisce informazioni molto interessanti che si ripercuoteranno anche sul nostro successivo modo di giocare.

Quando cominciamo a sguazzare allegramente nella piscina dell’onnipotenza, giocando a fare Dio, la puntata si fa sempre più complessa e strana e ci rendiamo conto anche noi, proprio come Stefan, che non siamo davvero liberi di scegliere ciò che vogliamo. Stefan è controllato da noi, noi siamo controllati da Bandersnatch. Lo stesso complotto che il ragazzo percepisce è come se lo sentissimo anche noi ogni volta che vogliamo frenare questo treno in corsa, portando Stefan a stare bene e a ottenere comunque ciò che desidera. Il segreto è semplicemente cedere all’episodio, all’istinto del protagonista e alla sua follia creativa, dapprima innocua e poi sempre più scandita da episodi di paranoia, da sospetti e dal terrore di essere proprio come il primo creatore di Bandersnatch, Jerome Davis, anch’egli ossessionato dall’idea di non avere il controllo delle proprie azioni e spinto da questa follia all’omicidio cruento della moglie. I destini di questo geniale autore e di Stefan sembrano ormai tristemente intrecciati e anche noi non sfuggiamo alla terribile consapevolezza di non essere liberi.

Scelta dopo scelta, errore dopo errore, ci è ormai chiaro di essere manipolati da una sorta di strano destino e di non poter far nulla contro ciò che sta distruggendo la mente di Stefan. I suoi impulsi non sono più controllabili né da lui né da noi, perché al di sopra di entrambi i giocatori (noi e ‘sto povero ragazzo) c’è qualcosa di più forte. L’esito è solo uno, tremendo e inevitabile: uccidere il padre, nascondere il suo corpo facendolo a pezzi e finire in santa pace il gioco seguendo il flusso dell’ispirazione. Siamo in balia degli eventi e lo scopo dell’intera puntata è sempre stato questo al di là delle nostre scelte: finire il gioco nel modo giusto e rendere giustizia all’opera narrativa di Davis. È proprio come se Bandersnatch stesso, una volta spinto il ragazzo a quel folle gesto, abbia finalmente risolto il bug che aveva messo in pausa il progetto.
Il raggiungimento dell’ending positivo ci permette di vedere molti anni dopo la figlia di Colin, Pearl, mentre tenta di trasformare il libro e il gioco di Bandersnatch in una serie tv che si vocifera sia prodotta proprio da Netflix. L’impresa ricorda molto quella compiuta dai predecessori della donna, che infatti comincia ad affrontare gli stessi bug e le stesse problematiche relative alle scelte. Si tratta di nuovo del destino che vuole imporsi su di lei togliendole definitivamente l’illusione di poter controllare le decisioni dei futuri spettatori?

Dunque, l’episodio di Black Mirror – Bandersnatch è sembrato un esperimento davvero geniale, dalle grandi potenzialità che si esprimono solamente tramite più visioni e che spero sia solo il primo di tanti episodi simili. Una sola visione è quasi deludente e sicuramente poco comprensibile, mentre scavando più a fondo si porta alla luce l’enorme lavoro fatto dai suoi creatori. Questi sembra quasi che ci abbiano preso in giro annunciandoci una puntata interattiva e portandoci a pensare di poter fare ciò che vogliamo. Rigiocare Bandersnatch può rivelarsi un’esperienza un po’ pesante, ma sicuramente molto interessante e vi consiglio di tentarla per risolvere la puntata e raggiungere l’ending delle cinque stelle nella valutazione del gioco. I dettagli e i significati nascosti mi hanno messo i brividi, mi hanno intrippata di brutto e mi hanno lasciato con un senso di disperazione addosso nel pensare alla possibilità che ciò che facciamo non sempre si rivela definitivo e che il libero arbitrio in realtà non è altro che una stupida illusione.
Per arrivare a questa consapevolezza abbiamo seguito un percorso complesso che è partito da un’illusione di comando alla rassegnazione di essere comandati a nostra volta dal destino. A riassumere bene questo concetto è proprio Stefan durante la sua ultima seduta dalla psicologa, dopo l’omicidio del padre:

Ho fatto dei progressi con il gioco, credo mi fossi arenato prima, ma ora riesco a vedere […]. Davo al giocatore troppa scelta, sono tornato indietro e l’ho alleggerito. Si ha l’illusione del libero arbitrio, ma in realtà io decido la fine.”

Non perdetevi inoltre tutti gli easter eggs presenti nel gioco, che alludono ai grandi miti della fantascienza e ad altre puntate di Black Mirror. Pare inoltre che ci siano molti altri dettagli geniali e segreti tutti da scoprire. Dunque…dateci dentro e fatemi sapere quale risultato ottenete!

Voto: 5 pescetti su 5

Consigliato a chi: riesce a capire bene le teorie delle diverse linee temporali (cioè non io); non teme di sporcarsi un po’ le mani; non ha paura dei demoni-leone; vuole assistere a un episodio avvincente, intrippante e geniale.

Sconsigliato a chi: si distrae troppo durante la visione delle cose e spreca il tempo limite per fare le scelte; non ama la fantascienza e le ambientazioni anni ‘80; vuole assolutamente raggiungere un finale pacifico e sano; non ha la minima intenzione di vedere più volte la puntata.

An Otter Point of View

Appallottolata su se stessa, la lontra scruta il mondo con occhietti curiosi, offrendo il proprio giudizio personale (spesso non richiesto).
Batuffolo nevrotico, trova se stessa tra le pagine di un libro o di fronte a una buona serie tv. Inguaribile giocherellona (soprattutto con un controller), fangirl sfegatata di troppe cose e shipper compulsiva.

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