Romanzi

Life Editing e nostalgia di casa: Sophie Kinsella, La mia vita non proprio perfetta

Non sono sempre scontati i momenti in cui riesco a godermi appieno la lettura di un libro.
Capita con un romanzo avvincente, con un romanzo dalla storia d’amore coinvolgente e non banale, ma capita soprattutto quando tra le parole dell’autore o dell’autrice riesco a trovare un po’ di me.
E così è successo con un libro da cui mi ero imposta di non aspettarmi molto.Mi sono seduta al primo posto libero di un treno regionale, spingendo di lato il fedele bagaglio sgangherato durante l’ennesimo viaggio alla ricerca del mio cuore. Affannandomi per creare il mio piccolo angolo di comodità in uno sgusciante sedile di plastica, ho aperto il libro e ho letto una storia di lontananza, ambizione, nostalgia e determinazione.
Parlando un poco di Katie Brenner e un po’ di me, La mia vita non proprio perfetta ha fatto breccia nel mio cuore a colpi di penna. La penna ironica, fresca e divertente dell’intramontabile Sophie Kinsella.

Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.

Trama

Katie Brenner è carina, ambiziosa e volenterosa e affronta tutte le mattine la metropolitana di Londra, schiacciata contro qualche sconosciuto, nella sua scomoda e folle vita da pendolare londinese. Ama il proprio lavoro, ma non si sente abbastanza ascoltata e vorrebbe poter fare molto di più. Ha dei coinquilini poco amichevoli e fa i salti mortali per arrivare alla fine del mese.
Questo però nessuno deve saperlo. Per tutti gli altri Katie, o meglio Cat, è una donna realizzata nel lavoro e nella vita, che guadagna bene, che si è fatta un nome e che si diverte con gli amici nei locali più trendy di Londra. Una vita coperta da filtri che sui social sembra da sogno, ma che si rivela non proprio perfetta.

Recensione

Quando ho intravisto La mia vita non proprio perfetta sullo scaffale della biblioteca, lì in alto, sulla cima della mensola dedicata agli autori inglesi, una parte di me voleva arrampicarsi come Messner per impossessarsene, un’altra ha frenato gli entusiasmi ricordando il flop di Fermate gli sposi, che per me aveva forse rappresentato l’inizio del graduale declino della scrittura fresca, buffa e vivace di Sophie Kinsella. Posso dire con soddisfazione di non essermi affatto pentita di essere tornata a casa con il volume sotto il braccio.
La mia vita non proprio perfetta segna infatti il ritorno in grande stile della Kinsella con tutti i tratti peculiari mi hanno fatto apprezzare la sua scrittura fin dai tempi dei primi romanzi. Protagoniste sventurate, situazioni assurde e una valanga di sfighe che altro non fanno che mettere in evidenza la goffaggine delle eroine kinselliane.
Certo, se sono i grandi conflitti a interessare, le storie d’amore inaspettate e gli intrecci complessi allora è meglio tenersi al largo da questi romanzi, ma nell’universo Chick Lit (un genere umoristico o leggero rivolto solitamente alle giovani donne e più fresco rispetto ai normali romanzi rosa, nato attorno agli anni ’90, ma salito all’apice del successo a partire dal nuovo millennio) la Kinsella mantiene ciò che promette e dona alle lettrici e ai lettori (mi piace pensare che il Chick Lit sia un genere adatto anche agli uomini) momenti ironici e buffi e intrecci narrativi che si basano sulla vita di tutti i giorni e niente più.
Anche in questo romanzo Sophie Kinsella ha seguito una strada già battuta, ma in La mia vita non proprio perfetta ho trovato (chiudendo un occhio sulla ricomparsa di alcuni cliché evitabili) una marcia in più che non mi aspettavo e che ha dato vita a una piacevole immedesimazione.

Fin dalla letteratura faceta più antica, una situazione risibile e ridicola tende a celare qualcosa di più, una riflessione strettamente legata all’attualità e alla società dell’epoca che funge da denuncia, da satira o da semplice riferimento reale. Si potrebbe dire che la letteratura odierna non sfugga del tutto a questa regola e La mia vita non proprio perfetta fa dei problemi di una ventiseienne quasi al verde il proprio scheletro narrativo. La precarietà, la disoccupazione, il costo della vita, la lontananza dalla famiglia, la nostalgia della propria casa e delle proprie radici, la contrapposizione tra realtà e apparenza, l’importanza di non giudicare gli altri. Molte tematiche attualissime vengono trattate con un sorriso, facendoci quasi credere che sia possibile affrontare con leggerezza e ottimismo le difficoltà di tutti i giorni.
La forza di questa nuova protagonista, Katie Brenner, risiede nella sua incapacità di arrendersi. Crede fermamente nel sogno di carriera che da uno sperduto paesino del Somerset l’ha portata alla caotica Londra, lontana dalla famiglia e da una terra natale di cui non parla con orgoglio.
È talentuosa e creativa, ama Londra e il suo lavoro, ma non sempre le risulta facile fare parte di un mondo tanto frettoloso e spietato. L’affitto le prosciuga sempre il conto, così come lo fanno anche quelle piccole spese mondane che bisognerebbe evitare (oh, il dolore di essere invitati a mangiare fuori e notare di avere solo due euro nel portafogli), e il lavoro non le dona le giuste gratificazioni, nonostante faccia di tutto per essere ascoltata dal suo capo e apprezzata per le proprie capacità. Le difficoltà economiche e lavorative sono all’ordine del giorno, ma il pregio di Katie è che non si arrende mai.

“Ma sono ben decisa a essere Cat. Sarò Cat. È il mio nuovissimo nome londinese. […] Katie sono io a casa. Io nel Somerset. Una ragazza di campagna con i riccioli e le guance colorite che vive in jeans e stivali di gomma più un maglione ricevuto in omaggio con una fornitura di mangime per le pecore”.

Una simile determinazione proviene però da un’opera significativa di rinnovamento personale. Katie, o Cat, ha cambiato se stessa fino a trasformarsi in una giovane donna di città, perdendo l’accento da contadina del Somerset e nascondendo le proprie origini a tutti, quasi anche a se stessa. Questo è il Leitmotiv dell’intero romanzo, il binomio costante tra realtà e apparenza che governa su tutti gli aspetti della nostra vita. I social network ci aiutano a mentire giorno dopo giorno, mettendo a nostra disposizione filtri con cui mascherare i difetti ed esaltare i pregi delle nostre esistenze. Katie fa di Instagram uno scudo con cui portare avanti le sue bugie e con cui nascondere le evidenze dei suoi fallimenti.

“Un sacco di gente su Instagram usa dei filtri colorati o altri trucchi. Ecco, il mio filtro è un filtro «come vorrei che fosse»”.

Quando però il suo complesso castello di menzogne crolla e lei precipita in un incubo, sarà costretta a mettere da parte Cat, per ritrovare la vera Katie.
Il riavvicinamento alle proprie origini si accompagna all’altro grande tema di questo romanzo: la nostalgia. Per inseguire il sogno londinese, la protagonista ha lasciato la propria casa nel Somerset, la genuina vita di campagna e il padre iperprotettivo che non vede di buon occhio la frenetica capitale inglese e vive nella speranza che la sua bimba torni a casa. Da vero spirito libero, Katie si oppone alle idee del padre, ma la sua voglia di indipendenza, pur rappresentando il naturale distacco dalla presa della famiglia e della soffocante terra d’origine, si accompagna a una forte malinconia nei confronti di ciò che è stato lasciato indietro nella corsa verso il successo.

“Potevo scegliere: seguire il mio cuore oppure non spezzare il suo. Alla fine, credo di averli spezzati un po’ entrambi”.

Salendo e scendendo dai treni e approfittando dei momenti morti in stazione per leggere, è stato facile immedesimarsi nella nostalgia di Katie. Il cuore può essere davvero diviso in più parti e risiedere in più luoghi, ma una scelta va fatta e non è facile uscirne indenni. Da un lato o dall’altro si crea una ferita che ci si porta dietro, volenti o nolenti, ferita costantemente pungolata dalla memoria, dai ricordi della propria casa, della famiglia, degli amici, del profumo dell’aria in cui si è cresciuti, dell’imprinting sensoriale che quel mondo ha lasciato sulla propria pelle.
La mia vita non proprio perfetta ha suscitato in me piccole fitte al cuore, ha risvegliato ricordi e smosso emozioni, complice la somiglianza tra la sottoscritta e la protagonista. Ventiseienni che si sentono più a loro agio con un paio di scarponi e una camicia a quadri piuttosto che in un tailleur, e calate in un mondo diverso da quello di nascita, in parte ammaliate dalla sua modernità e dal suo fascino, in parte pesci fuor d’acqua, incapaci di mettere ordine alla propria situazione lavorativa e sociale.

“Esco dalla porta della cucina e mi faccio strada in un nugolo di polli per respirare la freschezza della West Country. Devo ammettere che qui l’aria è incredibile. Anzi, questo posto è tutto incredibile. Papà crede che io abbia rifiutato totalmente il Somerset, ma non è vero. Ho semplicemente fatto una scelta su come vivere la mia vita…”

Trattando queste tematiche con la solita ironia che l’ha sempre contraddistinta, Sophie Kinsella è riuscita anche questa volta a suscitare non poche risate con le vicende bislacche vissute dai suoi personaggi, ma ha anche voluto dare qualche lezione a tutti i suoi lettori. La prima è uno di quegli insegnamenti che dovremmo imparare fin da piccoli e che potrebbe essere una delle massime di vita di un bookblogger: mai giudicare un libro dalla copertina. Al giorno d’oggi va molto di moda coprire le nostre vite con filtri e correzioni in una sorta di disperato life editing secondo il quale tutto ciò che viviamo deve rispondere a precisi criteri estetici. La società di impone quasi ogni minuto di essere perfetti, perlomeno di fronte agli altri. Ma nessuna vita è perfetta e tutti meritano il beneficio del dubbio, anche chi sembra insensibile e lontano anni luce da noi. Impariamo a conoscere, prima di additare, presupporre e giudicare. Potremmo scoprire qualcosa di prezioso.
Proprio come è inutile nascondere le imperfezioni delle nostre esistenze, anche rinnegare noi stessi lo è. Le nostre origini lasciano sempre un segno in noi, che ci piaccia o no. Possiamo decidere di ignorarle o smorzarle, ma non possiamo nasconderle per sempre solo perché temiamo che esse ci rovinino. Un connubio tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo essere può e deve esistere e compiere una scelta di vita, che sia per lavoro o per amore, non significa voltare le spalle a una parte di noi stessi o alle persone che ci amano. Possiamo essere tutto. Possiamo essere contadinelle sperdute in una grande città oppure lavorare in un’agenzia di marketing di enorme prestigio in una metropoli, possiamo amare il silenzio di un paesino immerso nella natura e apprezzare al tempo stesso la vitalità di un grande centro urbano, ma mai dovremmo vergognarci delle inflessioni del nostro accento.
Anche quelle ci rendono unici.

P.s. Ho focalizzato la recensione sui punti di forza del romanzo per spiegare il mio coinvolgimento, il divertimento che ha suscitato in me e anche qualche momento di commozione da parte mia. Ho però anche menzionato i cliché, marchio di fabbrica della scrittura kinselliana tanto quanto la sua leggera e semplice comicità.
Anche in La mia vita non troppo perfetta non manca l’interesse amoroso, che non perde le caratteristiche di (quasi) tutti gli altri co-protagonisti maschili della Kinsella. Anche in questo caso il bonazzo di turno è affascinante, sexy, spigliato, carismatico, affermato e ricco e francamente non credo che apporti un gran contributo alla sostanza del romanzo. È lì, parla, fa cose, ma soprattutto fa perdere la testa, suscitando le ormai immancabili incertezze, le incomprensioni, le figuracce e le gaffe da parte dell’eroina. È simpatico e caruccio, ma niente di più e non ho nemmeno percepito tutta questa chimica tra lui e Katie. Ho trovato più stimolante il particolare rapporto che si instaura tra la protagonista e un altro personaggio.
Se i tratti stereotipati del manzo kinselliano (il manzo kinselliano si nutre principalmente di sogni romantici e speranze, facendo della giungla urbana il proprio habitat naturale. Durante la stagione degli amori…) lo rendono un personaggio superato e una sorta di accessorio, non è stato così per la co-protagonista femminile, Demeter (si legge Deeemeeeeeter), in assoluto il personaggio che più mi ha colpita per complessità caratteriale e crescita personale. La Kinsella con lei mi ha stupita e mi ha convinta, presentando una donna interessante e in costante evoluzione, più un archetipo ben reso che uno stereotipo ormai senza sugo.
E per evitare spoiler, mi fermo qui.

Voto: 4 pescetti su 5

Consigliato a chi: ha una vita non proprio perfetta; ama le yurte; non si è ancora del tutto stufato dei manzi kinselliani; ama le protagoniste determinate e testarde; si sente un po’ lontano da casa; adora il campeggio; vuole ridere e commuoversi al tempo stesso.

Sconsigliato a chi: non sa pronunciare “Deemeeeeter”; odia cavalli e campagnoli; vuole leggere storie d’amore struggenti e impossibili; non fa acquisti se non da Dolce & Gabbana; non sopporta l’home-made.

An Otter Point of View

Appallottolata su se stessa, la lontra scruta il mondo con occhietti curiosi, offrendo il proprio giudizio personale (spesso non richiesto).
Batuffolo nevrotico, trova se stessa tra le pagine di un libro o di fronte a una buona serie tv. Inguaribile giocherellona (soprattutto con un controller), fangirl sfegatata di troppe cose e shipper compulsiva.

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