Mississipi, anni ‘60. Molti affermano che le cose vadano bene laggiù, in quel piccolo Paese degli Stati Uniti del Sud. La coltivazione del cotone ancora fa girare l’economia e ogni mese sembra esserci qualche innovazione tecnologica che testimonia l’ascesa degli Stati Uniti verso la modernità.
Ma la vita è tutt’altro che semplice, soprattutto se la tua pelle non è bianca come la porcellana. Da decenni la schiavitù è debellata, ma nel cuore degli abitanti non è ancora stata estirpata del tutto quell’erbaccia cattiva che porta a pensare che le persone di colore siano diverse dalla brava gente bianca, selvagge e pericolose. Regole ben precise chiariscono quali debbano essere i rapporti tra bianchi e neri, ossia quasi del tutto assenti se non quando questi ultimi devono essere impiegati come lavoratori nelle piantagioni, nelle fabbriche o come servi nelle famiglie di bianchi benestanti.Quando i neri non sono proprietà sono individui sospetti, potenzialmente pericolosi per la razza bianca. La separazione tra le etnie esiste in ogni settore: ci sono scuole per bianchi e scuole per neri, ospedali per bianchi e ospedali per neri, biblioteche pensate per accogliere esclusivamente persone di colore, supermercati riservati a loro.
Queste sono le premesse di The Help, scritto nel 2009 dalla scrittrice americana Kathryn Stockett e pubblicato in due edizioni da Mondadori, la seconda volta in seguito all’enorme successo dell’omonima trasposizione cinematografica di Tate Taylor.
Non sono una grande amante del genere drammatico e biografico, ma The Help mi ha conquistata per ben due volte: quando dopo averne visto il trailer ho deciso di vedere il film e quando, anni dopo, ho ignorato il fatto che già conoscevo trama e sviluppo e ho letto finalmente il libro, un piccolo capolavoro, dalla scrittura semplice e diretta e dalla capacità di commuovere e divertire tra serietà e ironia. Mi trovo spesso a piagnucolare di fronte a un prodotto televisivo o cinematografico ben fatto (i documentari, santo cielo, quelli mi stendono), ma con i libri sono molto più critica ed è difficile scucirmi una lacrima. Con The Help devo confessare che gli occhi mi hanno bruciato in vari punti.
Avvertenze: Cerco sempre di evitare spoiler. Qualche allusione velata però la faccio.
Trama
Nel contesto di odio razziale di cui ho parlato poco sopra (alimentato anche dall’azione spietata e assurda del Ku Klux Klan che era molto attivo in quegli anni) si svolgono le vite di Aibileen Clark, Minnie Jackson e Eugenia Phelan. La prime due, donne di colore che ne hanno viste tante nella vita, svolgono il loro lavoro presso delle giovani signore bianche, tra quotidiane ingiustizie e scarsi riconoscimenti. La terza è una giovanotta bianca a cui poco importa di accasarsi. Il suo sogno è quello di diventare scrittrice o redattrice per una casa editrice, ma la gavetta davanti a sé è tanta. Quando chiede consigli ad Aibileen per una rubrica di economia domestica su cui deve scrivere, le balena in mente un’idea per un testo rivoluzionario che potrebbe finalmente realizzare il suo sogno di scrivere qualcosa di nuovo.
Recensione
Tutti noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita il desiderio di cambiare il mondo, forse pensando a qualche grande impresa ai limiti del possibile. In certi casi basta davvero poco. Solo un piccolo aiuto.
È con un aiuto che The Help entra nel vivo della narrazione, scatenando gli eventi che portano a un grande cambiamento nella vita dei personaggi. La città di Jackson sembra vivere sospesa in una situazione irreale di falsa perfezione, dove le donne non hanno altro pensiero che cotonarsi i capelli, sposarsi, fare figli ai quali poi non badano e organizzare partite di Bridge. La facciata perbenista cela una realtà ben più complessa e drammatica. La segregazione razziale è arrivata a livelli allucinanti, peggiori di molte altre città degli Stati Uniti e basta molto poco per scatenare vere e proprie spedizioni punitive contro la popolazione nera. Nessuno osa ribellarsi, chi lo fa ne paga le conseguenze e tutti si sono abituati all’idea che non sia nulla da fare se non stringere i denti e andare avanti.
È così per Aibileen, che è abituata a servire i bianchi senza fiatare. Ha alle spalle anni e anni di esperienza come domestica e adora lavorare con i bambini, crescerli e farli sentire al sicuro con lei. Con loro è facile: non hanno le stesse idee conservatrici dei loro genitori, non si curano del colore della pelle quando c’è abbastanza carne da abbracciare e un sorriso pronto ad accoglierli ogni giorno. Almeno fino a che non diventano grandi e crudeli come gli adulti bianchi.
È così anche per Minnie Jackson, migliore amica di Aibileen e impiegata presso la famiglia Hillbrook. Minnie ha un certo caratterino e non si fa mettere i piedi in testa facilmente. A volte riesce a sopportare le angherie dei suoi datori di lavoro bianchi, ma ci sono occasioni in cui l’orgoglio e la determinazione la mettono in guai seri. Come con Hilly Hillbrooke, la peggiore di tutte le bianche di Jackson: marcia fino al midollo, semplicemente perfida.
Nel mondo in cui le due donne vivono il razzismo non è solo concesso, è legale e regolamentato da una serie di norme che stabiliscono in modo sistematico in cosa consiste la diversità tra persone bianche e persone di colore. Sono ancora in vigore le Leggi di Jim Crow, emanate nel lontano 1876 e basate sul vergognoso concetto del “separati ma uguali”, tanto assurde quanto purtroppo reali e valide fino al 1965. Queste norme sembrano fossilizzare Jackson e il Mississippi in una situazione di diffidenza e odio razziale che è molto difficile da sbloccare.
Ai parrucchieri di colore non è consentito servire donne o ragazze bianche.
L’affetto alle sepolture non può inumare persone di colore nello stesso terreno usato per persone bianche.
Scuole per bianchi e scuole per negri non possono scambiarsi libri che continueranno a essere usati solo dalla razza che per prima li ha avuti in dotazione.
L’aiuto però arriva da una fonte inaspettata: Eugenia Phelan (da tutti chiamata Skeeter, ossia zanzara, per la magrezza e il naso lungo) è appena tornata a casa dall’università, da una madre che la vorrebbe accasata e sempre in ordine e che non capisce la sua passione per la scrittura. La ragazza accetta di scrivere di ciò che non le interessa minimamente (ci siamo passati un po’ tutti, almeno chi vuole scrivere per vivere), ma per poter dare consigli sulla rubrica di economia domestica di Myrna deve farsi dare una mano da qualcuno che se ne intende. Ecco allora che chiede aiuto ad Aibileen Clark, solo per giungere presto a un’idea molto diversa.
Il contatto con la domestica della sua amica di infanzia permette a Skeeter di rendersi conto non per la prima volta, ma in modo molto più consapevole, delle incredibili disparità tra persone di “razze” diverse e di quanto Jackson sia antiquata sul tema dei diritti civili. E così Skeeter, che da piccola è stata cresciuta con infinito amore dalla domestica di colore della propria famiglia, decide di fare qualcosa che nessuno ha mai osato fare in quella città: dar vita a un ambizioso progetto letterario e scrivere di come sia davvero la vita delle donne nere al servizio delle famiglie americane, coinvolgendo più domestiche possibile.
Una cosa è certa, l’odio genera odio, la violenza genera violenza e la diffidenza genera diffidenza. Questo libro riesce a spiegarlo, descrivendo con uno stile semplice, limpido e molto scorrevole la paura di esprimere opinioni e di parlare male dei propri aguzzini per il timore di ripercussioni. Tramite le vite travagliate delle protagoniste e i loro costanti crucci, la Stockett prova ad ammonirci tutti a non farsi trascinare da questa catena di malignità.
È tutto un ricircolo di sentimenti negativi che partono da una fonte e si ingigantiscono come una palla di neve che lungo una discesa diventa un enorme masso gelido. Allo stesso modo la secolare credenza che i neri siano diversi diventa reale anche dal punto di vista di questi ultimi. In mezzo a tutte quelle domestiche di colore Skeeter è quella diversa, il nemico, qualcuno di cui non ci si deve fidare e che potrebbe portare a un mare di guai. Skeeter però non si arrende: quello che era semplicemente un tentativo di farsi notare da una prestigiosa casa editrice diventerà una strenua lotta contro i pregiudizi di Jackson e l’ennesima ingiustizia sarà proprio quello che servirà a scatenare una catena di solidarietà da parte delle domestiche. È giunto il momento di cambiare le cose.
Mi sento soffocare. Le lacrime scendono senza controllo. A mettermi in agitazione sono tutti quei bianchi che girano intorno alla nostra zona. Bianchi con il fucile puntato contro i neri.
Perché chi la protegge la nostra gente? Non ce ne sono di poliziotti di colore.
The Help è un libro estremamente potente, che fa proprio ciò che io chiedo da un libro: tratta eventi drammatici in modo semplice, spiegando come stanno le cose, depurando la scrittura da inutili complessità e lasciando solo ciò che serve per arrivare dritto al cuore del lettore. I personaggi, tutti quanti, sono delineati con grande profondità senza mai scadere in schematismi. Le figure negative sono frutto di mentalità razziste e limitate che per secoli hanno influenzato l’opinione comune e che in certi casi ancora permettono il diffondersi di pregiudizi; quelle positive affrontano a muso duro le avversità, mostrando determinazione e tanta dolcezza, anche la coriacea Minnie Jackson che combatte la vita come un veicolo corazzato, ma che nasconde un animo gentile.
C’è diversità tra le etnie, ma anche tra chi ha lo stesso colore della pelle, fino a che il pregiudizio non sfocia nella vera e propria esclusione di chi la pensa diversamente. Questa distanza tra le persone porta a conseguenze emotive enormi: al bisogno di essere accettati dai propri simili anche a costo di rinnegare se stessi (come la stramba e ingenua Miss Celia, che è il mio personaggio preferito del libro), all’odio per ciò che è diverso e sconosciuto e all’amore anche per chi è trattato male dalla maggioranza. Ma soprattutto l’odio che si respira a Jackson scatena suo malgrado tanta voglia di cambiare il mondo a passetti piccoli, da parte di chi ha il coraggio di provarci.
Tutto questo è concentrato in un libro che sono contenta di aver letto, che mi ha commosso e fatto sorridere, ma soprattutto mi ha insegnato molto. Vi lascio con un’altra citazione che potrebbe (insieme a molte altre) riassumere in modo efficace l’insegnamento di questa storia di aiuti reciproci, molto meglio di quanto lo sappia fare io continuando a blaterare:
Per le donne bianche c’è un odio comprensibile, ma anche un amore inspiegabile.
Faye Belle, semiparalizzata e con la pelle grigiastra, non riesce a ricordare la sua età, ma dispiega le sue storie come morbido lino. Racconta di essersi nascosta in un baule con una bambina bianca, mentre in casa rimbombavano i passi dei soldati del Nord. Racconta di aver tenuto tra le braccia vent’anni fa quella stessa bambina bianca, ormai vecchia e moribonda. In quell’occasione, si dissero che la loro era un’amicizia grandissima e sarebbe sopravvissuta anche alla morte. Il colore della pelle non significava nulla.
Voto: 5 pescetti su 5
Consigliato a chi: vuole leggere una storia profonda ma scritta con uno stile leggero e piacevole; crede nei piccoli gesti per cambiare il mondo; vuole sapere cos’ha combinato Minnie.
Sconsigliato a chi: odia le torte al cioccolato; pensa che Hilly abbia sempre ragione; è alla ricerca di un libro con tematiche poco impegnate.