Tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo sentito il bisogno di avventura. Di un brivido di eccitazione, di quella brama di partire per un viaggio verso l’ignoto e di compiere gesta strabilianti. Il più delle volte restano solo desideri, alimentati da libri, film e serie tv e dalle vite alternative che essi ci permettono di vivere al sicuro sul nostro bel divano. Forse è meglio così. Sì perché non so quanto potrei sopravvivere in mezzo a una sanguinosa battaglia con una spada in mano, di sicuro non è la mia più grande aspirazione uccidere un drago (abbracciarlo semmai!) e probabilmente non sarei in grado di salvare nessuna fanciulla dai mostri, io che a stento riesco ad affrontare quelli che la vita mi mette di fronte di tanto in tanto.
Siamo esseri imperfetti e fallibili, sputati su questa terra con uno scopo che forse non sapremo mai, e bastano e avanzano i piccoli gesti eroici che siamo chiamati a compiere giorno dopo giorno per non soccombere alla vita. Possiamo però sempre contare su altri mezzi per soddisfare quella strana spinta all’avventura che bene o male proviamo quasi tutti, basta anche solo una bella storia e quella di cui sto per parlare narra dell’impresa epica e pericolosa (anche un po’ folle) di un ragazzo non troppo diverso da tutti noi. Un giovane che non è portato per essere un eroe, ma che intraprende un viaggio di formazione divertente e commovente che lo trasformerà in un Giovane Avventuriero.
Sarà un’impresa facile? Nient’affatto. Si rischierà la pelle? Più e più volte. Si faranno incontri bizzarri? Decisamente. Ma in barba a paure e difficoltà il grido di battaglia risuona forte e chiaro a Campocarne: YA!
Trama
Stecco è un ragazzo come tutti gli altri, non fosse per la sua insaziabile brama di avventura. Una sera, affascinato dalle storie raccontate dal suo idolo di sempre, il Granduomo, si mette in testa di volerlo raggiungere al suo campo di addestramento per Giovani Avventurieri. Stecco parte da casa con le migliori intenzioni, ben determinato a lasciare un segno nella storia. Non sa che dietro l’angolo l’aspetta un guaio dopo l’altro e incontri bizzarri che trasformeranno la sua avventura in un viaggio pericoloso e assurdo.
Recensione
Non è un elemento del tutto privo di interesse il fatto che YA – La battaglia di Campocarne (primo libro di una serie) sia stato scritto dal fumettista e sceneggiatore italiano Roberto Recchioni. Siamo di fronte a un romanzo, ma la scrittura semplice e schematica di Recchioni appare subito palesemente influenzata dalla carriera nel mondo del fumetto, soprattutto nella costruzione dei personaggi.
Pur non mostrandosi come un romanzo atipico, fin dalla lettura delle prime pagine Ya si mostra come un prodotto molto particolare, che sa conquistare il lettore proprio grazie alla presentazione quasi caricaturale delle figure che lo abitano. Il romanzo deve molto a questa sua impostazione fumettistica, in primis la validità dei suoi personaggi e la forza con cui emergono dalla pagina, quasi fossero disegnati. Abbiamo bisogno di pochi stimoli per immaginare i volti dei protagonisti nelle nostre menti. Bastano pochi tratti ed eccolo lì, Stecco, eccolo attraversare prati e montagne alla ricerca dell’avventura, con quel suo corpo magro e allampanato, la testa a punta e l’aspetto del più improbabile degli eroi. Eccola Marta la Brutta, con i suoi lineamenti storti e gli occhi grandi e azzurri. Ecco anche la rugosa Nonna Mannaia, il Granduomo e il pallido Trappola, colui che fa della iattura (l’arte di portare sfiga, in parole povere) la sua più grande aspirazione (non era ancora di moda voler fare l’astronauta).
Tutti loro sembrano venire a galla grazie alle parole di Recchioni, con una vividezza che li plasma al cospetto del lettore, nitidi, credibili e divertenti.
Nitidi, ma non precisamente delineati. Recchioni non indugia mai sulle descrizioni dei suoi personaggi, preferendo piuttosto lasciare che il lettore spazi con l’immaginazione, colmando i vuoti della sua penna e completando i pochi elementi da lui tratteggiati sulla pagina. Sono soprattutto le parole e le azioni a dare vita a queste figure e a caratterizzarle con forza in tutto ciò che fanno.
Il nostro protagonista, Stecco, nonostante non abbia quasi nulla dell’eroe, ha il ruolo di rappresentare il desiderio di avventura che alberga in alcuni di noi, la spinta istintiva e un po’ incosciente verso l’ignoto. Sembra essere terribilmente fuori luogo nell’avventura che ha con tanta foga cercato, invece funziona alla perfezione proprio perché per il lettore è una figura riconoscibile e familiare, un ragazzino un po’ avventato, senza muscoli e un tantino troppo sognatore, ma anche molto coraggioso, dall’animo buono, abbastanza sveglio e veloce.
Alto, aguzzo, scabro e nodoso. Era una descrizione che andava bene per il panorama come per lui. Solo che lui voleva cambiare, diventare grande, ricco e forte, mentre il mondo che aveva intorno sembrava orgoglioso nella sua eterna essenzialità.
Un eroe di questo tipo non può che essere veicolo di situazioni assurde e momenti di divertimento, a maggior ragione se accanto a lui abbiamo una spalla degna di nota. Quando compare Marta la Brutta sappiamo di averla trovata e di essere di fronte a un nuovo personaggio particolare e fuori dagli schemi.
Sulla sommità del Vallo c’era una figurina strana con un gran testone a forma d’uovo e un corpo straordinariamente minuti. Aveva una massa di capelli lisci e più o meno biondicci, che incorniciavano un volto quadrato dai lineamenti tutti raggruppati al centro. Un naso storto, due occhi azzurri, grandi e spiritati, simili a quelli di certi roditori notturni, e una bocca larga dalle labbra carnose, atteggiata a un sorriso che era per metà di disprezzo, per metà di trionfo e per metà di divertimento. E se i conti non vi tornano è perché era una bocca davvero molto larga.
Ditemi ora che non vi sembra di vederla perfettamente sulla pagina di un fumetto d’avventura. Marta è molto diversa da Stecco, ovviamente, ed è ciò che trasforma l’impresa solitaria del ragazzo in un’epica e piuttosto spassosa impresa a due, tra momenti di tenera solidarietà e rimproveri coloriti ricevuti dal povero Stecco da parte di questa ruvida montanara.
YA – La battaglia di Campocarne si mantiene sempre un romanzo per ragazzi, almeno in apparenza, sia nel suo stile narrativo che nel modo di presentare personaggi e situazioni. L’intreccio è semplice, così come il tono generale del romanzo, all’interno del quale anche gli avvenimenti più seri possono essere addolciti da un risvolto spassoso o una battuta ben piazzata di Marta. È anche un libro che risulta perfetto per una lettura più adulta poiché Recchioni non risparmia al lettore temi maturi, come la guerra, la morte e l’amore. Ogni rischio di mantenersi su questioni infantili viene così completamente debellato, in favore di una narrazione sempre incalzante e capace di donare anche un po’ di tensione.
Stecco parte alla volta dell’avventura convinto di poter entrare finalmente nelle leggende proprio come il Granduomo, ma non sa che sta per addentrarsi in un percorso ad ostacoli che lo porteranno a diventare un eroe. Per questo motivo YA si può considerare anche una sorta di romanzo di formazione.
Recchioni sfrutta bene ogni elemento in suo possesso per tenere il lettore incollato alle pagine del suo romanzo: un’ambientazione fantasy semplice ma affascinante, dei personaggi dalle caratteristiche vincenti e il fascino eterno di una buona storia d’avventura. Lo stile di scrittura è rapido e semplice e Recchioni saltella costantemente da un piano temporale all’altro, dalla battaglia in corso nella Piana di Campocarne al recente passato in cui Stecco ha deciso di partire alla volta del campo di addestramento dei Giovani Avventurieri. Il rischio di risultare confuso e poco approfondito era alto, ma l’autore ha saputo gestire bene questo stratagemma letterario, in modo da amplificare addirittura i sentimenti del lettore. Una situazione presente drammatica, appoggiata a un passato in cui ci si affeziona inevitabilmente ad alcuni personaggi, rende impossibile non provare tensione e timore per la vita di quei protagonisti.
Non mancano ovviamente alcuni difetti del romanzo, che tuttavia non rovinano il gusto di questa breve lettura avventurosa. Il mondo creato da Roberto Recchioni risulta un po’ rarefatto nella sua semplicità e talvolta non del tutto realistico. Anche se non è ben definita l’ambientazione, verrebbe da pensare che ci troviamo in uno scenario fantasy medievaleggiante, ma il tono e gli atteggiamenti dei personaggi ancorano YA in un tempo che sembra quasi quello che stiamo vivendo. Il linguaggio, in poche parole, non rispecchia l’epoca storica (fittizia) in cui il romanzo è ambientato, ma a conti fatti questo potrebbe essere un difetto oppure un punto positivo per agevolare l’immedesimazione del lettore più giovane ai protagonisti di YA. Stecco e Marta risultano incredibilmente familiari, quasi ragazzi dei giorni nostri, e per questo hanno la potenzialità di entrare subito nel cuore di chi assiste alle loro gesta, senza filtri di pesantezza dati da un Medioevo fantasy tetro e linguisticamente legnoso.
Insomma, in tutta la sua semplicità e brevità YA – La battaglia di Campocarne ha saputo conquistarmi e donami qualche piacevole ora di lettura senza impegno, ma dai grandi risultati. Mi ha fatto apprezzare due protagonisti spassosi e un poco assurdi, mi ha fatto desiderare di avere un po’ più di coraggio, come Stecco, per partire alla volta di una splendida avventura al grido dell’onnipresente intercalare YA!
Che sia fatta l’avventura
Con la morte sempre apprezzo
Come tomba un cipresso
E la voglia di gridar… YA!
Voto: 4 pescetti su 5
Consigliato a chi: cerca una lettura breve, ma di grande effetto; apprezza i romanzi di formazione per ragazzi; vuole scoprire come diventare un Giovane Avventuriero.
Sconsigliato a chi: ama solo i mattoni; cerca dei personaggi psicologicamente complessi; crede che le leggende dei cantastorie siano solo favolette.